Ai No Vax Indecisi e Riluttanti al Vaccino Anti Covid

Una saggia presa di coscienza implica fiducia nella Scienza e maggior dialogo fra le parti ma distante da reciproca saccenza e presenzialismo

di Ernesto Bodini (giornalista scientifico e opinionista)

Non si potrà ringraziare mai abbastanza Albert B. Sabin (1906-1993) e Jonas E. Salk (1914-1995) per aver debellato la poliomielite, come pure non aver minor considerazione per il nostro connazionale il senatore socialista Giacomo Mancini (1916-2002) che, come ministro della Sanità dal 1963 al 1964, promosse la legge (n. 51 del 4/2/1966) sulla obbligatorietà della vaccinazione antipoliomielitica. Per questo “merito” nel 1965 gli fu conferita la medaglia d’oro e definito «Genio della concretezza». Ma a parte l’onore al merito, che a mio avviso è “un di più” perché agire con saggezza e per il bene da parte di un ministro rientra tra i suoi doveri etico-morali ed istituzionali, quello che invece è deplorevole è stata la netta negazione a rendere obbligatoria la vaccinazione da parte del suo predecessore, il ministro democristiano (e pediatra) Camillo Giardina (1907-1985) che ha diretto il Dicastero dal 1959 al 1962, il quale giustificò tale rifiuto affermando: «Prima che i bambini italiani siano vaccinati con virus attenuati, dovranno passare sulla mia poltrona». Un’affermazione forte per quei tempi e per quella necessità e, ricordarla oggi, non significa voler infierire in alcun modo su “un’anima del passato”, ma farla propria come monito ai riluttanti (specie over 60) al vaccino anticovid e, per quanto possano essere in parte giustificate l’apprensione e il timore, non mi sembrano sufficienti a fronte dei già positivi risultati sinora riscontrati. Questa minoranza (a parte le persone affette da particolari patologie autoimnmuni), che comprende anche un certo numero di operatori sanitari, deputati a tutelare la salute pubblica, dovrebbe “rileggersi” l’intera storia sugli effetti della poliomielite e sul percorso di ricerca intrapreso sia da Salk che da Sabin per la realizzazione del loro rispettivo vaccino, peraltro da ambedue mai brevettato. Anche se le caratteristiche della vicenda poliomielite e della pandemia attuale (Sars-Cov-2) divergono per certo aspetti, come pure per i rispettivi vaccini, bisogna considerare che tanto oggi come all’epoca diverse le Case farmaceutiche impegnate nella loro produzione, e altrettanto sono state e sono tuttora manifestate dal pubblico (soprattutto profano) diffidenza e ritrosia nei confronti dei ricercatori… e anche dei politici-gestori del sistema. Ma va anche rilevato che ai tempi dei due scienziati statunitensi la poliomielite aveva un’incidenza notevole e, per debellarla, bisognava sostenere la ricerca, cosa che fu possibile grazie alla lungimiranza del presidente USA Franklin D. Roosevelt (1882-1945), lui stesso colpito dalla poliomielite a 39 anni. Infatti, nel 1926 a Warm Spring, in Georgia, aveva fondato un Centro per la cura della poliomielite e, il suo conseguente impegno è consistito nel procurare fondi per finanziare Enti particolarmente costosi, tra i quali il sostegno al progetto che si proponeva di contribuire alle spese sanitarie delle vittime del “the Clipper”, ossia lo storpiatore, come veniva spesso chiamato il virus della polio, nella promozione della ricerca e la prevenzione in tutto il Paese.

Istituì la National Foundation for Infantile Paralysis (NFIP), concepita per coordinare e sostenere economicamente tutte le iniziative antipolio, modello anche per altre associazioni mediche di volontari come l’American Cancer Society, e l’American Diabetes Association. La NFIP finanziò e sostenne la campagna nota come la March of Dimes, ovvero la marcia delle monetine in quanto il dime è la moneta da 10 cents di dollaro, e il 20 gennaio di ogni anno (compleanno di Roosevelt) ogni cittadino americano era invitato a versare il suo dime per contribuire attivamente alla lotta contro la polio. Attraverso varie manifestazioni propagandistiche e di star del cinema e di numerosi testimonial, e con la donazione di altri più consistenti contributi, furono raccolti milioni di dollari tant’è che la NFIP poté iniziare una serie di ricerche per un vaccino più efficace e sicuro contro questo morbo e, per quest’ultimo scopo, nel 1949 fu varato uno studio multicentrico in varie Università statunitensi stanziando la notevole somma di 1.370.000 dollari e mettendo a disposizione dei laboratori 30 mila scimmie. Ora, fare un parallelo fra questa realtà di ieri con quella di oggi per alcuni aspetti può sembrare anacronostico, ma non resta che confidare in coloro che sanno meglio esprimere e garantire le caratteristiche e gli effetti di una ricerca, ma nel contempo rifuggire da ogni presenzialismo e… incontrollata saccenza. Vorrei concludere citando una convinzione di Albert Sabin, che espresse negli anni ’80 quando venne a Torino per presiedere un convegno: «Io credo che sia responsabilità non solo degli scienziati, ma di tutti gli esseri umani, e che sia la più grande di tutte le responsabilità, far sì che le conoscenze raggiunte dalla scienza e dalla tecnologia possano diminuire la miseria sempre presente in varia misura nella condizione umana». Una saggezza che mi induce ad ipotizzare che nel nostro Paese in più Atenei non si insegna Storia della Medicina. Una carenza penalizzante sia dal punto di vista culturale che della formazione delle nuove generazioni di medici e ricercatori.

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