LA VERGOGNA DELLA NON EQUITÀ E DELLA INEGUAGLIANZA

Le eterne differenze stipendiali tra i lavoratori pubblici e privati: due pesi e due misure che spesso fanno la differenza anche in termini di qualità di vita e del mantenimento della stessa

di Ernesto Bodini (giornalista e opinionista)

In tempi di crisi come quello attuale, ma in realtà da quando è stata proclamata la Repubblica nel nostro Paese, la mai risolta questione degli stipendi dei dipendenti pubblici e privati (in qulsiasi ambito) suscita sdegno ed amarezza, non solo per le notevoli differeneze degli emolumenti tra un ruolo e l’altro, ma anche perché non è dato a sapere con quale criterio vengono stabilite le “fasce stipendiali”. A rigor di logica (che in Italia tale termine non è nemmeno un opotional) per un mestiere e/o professione che comporta particolare fatica fisico-mentale e soprattutto dei rischi per la propria incolumità, lo stipendio dovrebbe essere proporzionalmente commisurato soprattutto al rischio stesso, ma per diverse mansioni lavorative e/o professionali ciò non avviene. E per dirla fino in fondo, non è nemmeno dato a sapere con quale criterio nella P.A. viene stabilito lo stipendio di un ministro o di un presidente della Repubblica, come pure di un costituzionalista, i cui ragguardevoli importi sono più o meno noti e, per quello che mi riguarda, queste figure istituzionali non sanno certo cosa vuole dire fatica anche se alcune alludono al diritto della loro incolumità… peraltro più che assicurata. Ma si pensi, piuttosto, agli stipendi (noti a tutti) dei dipendenti delle Forze dell’Ordine e dei Vigili del Fuoco, operatori che rischiano la vita tutti i giorni: sanno quando escono di casa ma non se vi fanno ritorno… Ciò non è un mistero, ma lo è invece il criterio di attribuzione di detto importo stipendiale. Sicuramente esisteranno a monte dei parametri di calcolo, ma quali? E chi li stabilisce? Di sicuro non si tiene conto del valore professionale commisurato al rischio-pericolo-fatica, e questo è a dir poco un’ingiustizia che “svalorizza” quei lavoratori come se la loro persona e la loro vita valessero poco o nulla, mentre il loro operato è più che indispensabile per la collettività. Inoltre, vogliamo parlare di responsabilità? Parliamone pure ma si badi bene di non incorrere nella più sfrenata ipocrisia perché anche sotto questo aspetto il confine è… molto sottile. Infatti, chi e con quale criterio-limite si stabilisce che quel mestiere o quella professione implica un certo grado di responsabilità tanto da “meritare” uno stipendio ragguardevole, e magari anche il riconoscimento di qualche benefit a titolo di incentivo-supplemento? In soccorso alla pseudo-difesa delle categorie dei lavoratori pubblici e privati esistono varie sigle sindacali, ma per quanto riguarda il ruolo di magistrati, ministri, parlamentari e politici vari non credo proprio che ne abbiano bisogno… Volendo estendere il campo non si può non menzionare i manovali che lavorano sulla strada (estate e inverno), che tutti i giorni sono a contatto con materiali nocivi e si spaccano la schiena per curare le nostre strade o per mantenere efficienti determinate strutture di uso comune; lavoratori che devono avere una perfetta integrità fisica e, come certi altri lavoratori, rientrano tra quelli che svolgono lavori usuranti e pertanto meritevoli di compensi più adeguati. Questa disamina meriterebbe ulteriori approfondimenti in quanto implica una serie di valutazioni, ma ciò nonostante il problema rimane irrisolto: l’uomo che lavora sulla strada, il tutore dell’Ordine così come il vigile del fuoco, ed ogni altra figura professionale di particolare “impegno e riguardo”, restano confinati nel limbo dei diseredati, ovvero dei sotto-stipendiati. Per non parlare poi di chi svolge un lavoro cosiddetto intellettuale che, in taluni casi, non è detto che valga meno di un lavoro manuale, in particolare per quello che riguarda determinate responsabilità: quelle vere e non quelle fittizie e di comodo solitamente identificabili nella figura del politico e del classico burocrate.

E, a tal proposito, io credo che nessuno è in grado di stabilire con esattezza di merito determinate differenze stipendiali; e se mai esistessero dei super esperti (intellettuali o meno), si facciano vivi e incomincino a delineare con obiettività il valore di una vita rapportato ad un mestiere e ad una professsione. Del resto, non dimentichiamo che tutti hanno la bocca sotto il naso, tutti hanno due polmoni per respirare, tutti hanno un cuore che batte; ma non tutti hanno una coscienza per rispettare i criteri dell’equità e dell’uguaglianza (vita tua mors mea). Infine, anche gli emolumenti di sussistenza per chi non può lavorare a causa di un handicap, devono essere rapportati alle loro reali necessità; e se anche in questi casi persistono determinate e discutibili differenze, le stesse favoriscono il precoce invecchiamento e a volte anche la precoce dipartita della persona. Probabilmente, nella elencazione ho tralasciato qualche altra categoria di lavoratori “a rischio” come i sanitari impegnati nelle emergenze, i cui stipendi sono statici e non in linea con il rischio professionale. Ma non posso sottacere il caregiver, una figura professionale non ancora riconosciuta legalmente, ma non per questo da non considerare nel merito di una giusta retribuzione. Sia pur brevemente ho voluto sollevare un problema che ha già compiuto 72 anni e di cui poco si parla in modo approfondito e tanto meno lo si vuole affrontare, mentre è molto più comodo commemorare i caduti sul lavoro… proprio quelli a maggior rischio, la cui pensione cosiddetta di reversibilità al coniuge sopravvissuto, è tanto poco consolante (per l’importo) quanto maggiormente umiliante. Questa è l’Italia di cui vanno fieri in molti sbandierando il tricolore a destra e a manca, e non importa se non arrivano a fine mese sempre che… non siano periti sul posto di lavoro, o siano rimasti invalidi a causa dello stesso magari con una pensione nettamente inferiore al “fu” magro stipendio!

Le immagini sono tratte dai siti Scuolainforma e Calcoli

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