VACCINAZIONI: UNA PRESA DI COSCIENZA RESPONSABILE PER LA PREVENZIONE

di Ernesto Bodini (giornalista scientifico)

Secondo l’OMS nel mondo 1 bambino su 5 non riceve le vaccinazioni salvavita, che potrebbero evitare 1,5 milioni di morti l’anno cusate da malattie prevenibili. C’é chi i vaccini li ha a disposizione (gratis o a prezzo simbolico) e non li usa per timori infondati e vere e proprie bufale diffuse dai social media: dal trivalente che provoca l’autismo, ai vaccini contro il papilloma virus ritenendoli non efficaci. Ed è noto che in Italia come negli USA, Giappone e Gran Bretagna che il morbillo sta creando danni, come parotite e pertosse. “Close the immunization gap” è lo slogan per la campagna (promossa dall’Oms) per colmare il divario di immunizzazione tra le varie parti del pianeta. Nel 2013, circa 22 milioni di bambini non hanno ricevuto le 3 dosi del vaccino contro difterite, tetano e pertosse. Secondo l’AIFA in 65 Paesi è ancora lontano l’obiettivo di una copertura vaccinale al 90% contro difterite, tetano e pertosse per il 2015. In tre Paesi la poliomielite rimane indietro per l’eliminazione del tetano materno neonatale, il 16% dei bambini non è immunizzato contro il morbillo, metà dei bambini non viene vaccinato contro la rosolia. Ora, anche se la Medicina si è evoluta ed è in continuo progress non è certo retorica affermare che anche il nostro Paese manifesta ancora contraddizioni e incoerenze. Ad esempio, si ricorre spesso all’automedicazione con tutti i pro e i contro, oltre alla spasmodica consultazione di internet con la speranza di trovare il farmaco miracoloso, per poi essere diffidenti (se non riluttanti) verso quelle definite obbligatorie. L’obbligatorietà non va certo intesa come imposizione tout-court, ma come presa di coscienza civile perché quando una norma stabilisce di attenersi ad una procedura, specie in tema di salute, non si può disattenderla per non incorrere in spiacevoli conseguenze per la salute propria e della collettività. Questa premessa per porre l’attenzione sulla scarsa cultura scientifica nel nostro Paese in particolare in fatto di vaccinazioni, e questo costituisce preoccupazione anche per l’Ordine dei Medici, che denuncia un sensibile calo delle vaccinazioni (anche se più recentemente si assiste ad un lento ma progressivo rialzo), ricordando che i vaccini sono una delle tecnologie più sicure, perché vengono sperimentati e testati con grande attenzione prima, durante e dopo la loro introduzione nella pratica clinica. Grazie proprio alle vaccinazioni, val la pena ricordare, è stato eradicato il vaiolo che ha mietuto, prima della loro introduzione, oltre 300 milioni di vittime; come pure è stata sconfitta in quasi tutto il mondo la poliomielite che, nel 2014, ha colpito “solo” 350 bambini, contro i 350 mila della fine degli anni ’90, e sempre secondo l’Oms nel 2013 i casi di polio nel mondo erano 403; nel 1916 negli USA un’epidemia di polio ha ucciso 6.000 persone, e paralizzate 27.000. Negli anni ’50 furono 20.000 i casi di polio ogni anno. Nel 2014 ricorreva il 50° anniversario della più grande campagna vaccinale contro la polio, che allora portava a paralisi circa 3 mila persone ogni anno (ben 7.500 nel 1958). L’Italia è “polio free” dal 1983 e l’Europa dal 2000. Ma la malattia non smette di far paura e il vaccino si rivela un’arma imprescindibile: nel 2012 si sono verificati 58 casi di polio in Pakistan, 37 in Afghanistan e 121 in Nigeria del nord. Nel 2012 una propaganda assassina dal Pakistan alla Nigeria contro i vaccini antipolio ha causato la morte di 9 volontarie, accusate dagli estremisti islamici di diffondere il vaccino per sterilizzare i musulmani. A riguardo una nota positiva dell’Oms, in coincidenza con il World Polio Day, aggiorna che è stato eradicato il secondo ceppo n. 2 della polio, e resta da eradicare quello contrassegnato con il n. 1 che è appunto endemico in Afghanistan e Pakistan e di cui sono stati registrato 88 casi dall’inizio dell’anno, mentre l’ultimo caso di ceppo n. 3 è stato identificato in Nigeria nel 2012, e la dichiarazione del ceppo n. 2 è stata fatta nel 2015. A questi si aggiungono 95 casi della malattia dovuti al ceppo derivato da una mutazione di quello usato nel vaccino, che colpisce solo individui non vaccinati in aree in cui la copertura è bassa. Più “attualmente”, per quanto riguarda la sindrome influenzale, l’Oms rende noto che ogni anno nell’Unione Europea 50 milioni di persone contraggono il virus, e si stima che tra 15.000-17.000 muoiano per cause associate; mentre in Italia si ammala ogni anno il 5-10% della popolazione. Per quanto riguarda il Piemonte, tra la metà di ottobre e la fine di aprile, l’influenza ha colpito circa 640 mila persone con un picco massimo registrato tra gennaio e marzo. Durante la stagione influenzale 2018-2019, fa sapere l’Assessorato, sono state somministrate in totale circa 670 mila dosi di vaccino antinfluenzale, e l’obiettivo è raggiungere il 75% dei soggetti interessati. Quindi ben venga la campagna di comunicazione per tale consapevolezza promossa dall’Oms, considerando inoltre, che l’influenza ha elevati costi sociali ed economici e rappresenta il 30% del peso per malattie trasmissibili. Poiché i virus dell’influenza cambiano, ogni anno è necessaria la vaccinazione per stare al passo con la loro capacità di mutare. «Nell’emisfero settentrionale del mondo – sottolinea il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie – Ecdc) – si osserva la circolazione stagionale dell’influenza tra novembre e maggio; quindi ottobre è il momento ottimale per ricevere una vaccinazione antinfluenzale». Ora, di fronte a queste cifre e a queste prospettive, si evince che non si tratta solo di una questione di mera cultura ma anche dell’apporto che può (e deve) dare chi è preposto a dare informazione, attraverso i vari mezzi di comunicazione. Mezzi che comportano o comporterebbero la conoscenza e il sapere attraverso la lettura critica, ossia abituare il lettore sin da giovane a distinguere fra notizia, analisi e commento; ad individuare subito il “taglio” politico, culturale ed anche scientifico di questa o quella notizia e poterne analizzare meglio i contenuti. Ciò significa abituare il giovane lettore ad utilizzare il mezzo di comunicazione, qualunque esso sia, non come fonte assoluta di verità, ma come fonte relativa di informazioni e valutazioni da confrontare sempre, quando è possibile.

Ma chi è preposto a informare? Potenzialmente tutti noi, attrvaerso ogni mezzo: giornali, riviste, televisione, radio, telefono, internet, etc.; ma in primis giornalisti (oltre agli scrittori), quindi tutti i media, quali agenti di socializzazione, cui corrisponde l’apprendimento di valori, modelli culturali e di comportamento della collettività. Se prima i principali enti di socializzazione erano la famiglia e la scuola nella nostra società assume sempre più importanza la comunicazione di massa, da ciò deriva che Informazione è fornire una serie di notizie e Comunicazione è farle pervenire a destinazione. Dal punto di vista scientifico, medico in particolare, il continuo progresso della tecnologia e delle conoscenze, incide nelle professioni e nelle relazioni sociali. L’interesse della collettività per le notizie in materia di salute e sanità, è argomento di notevole diffusione, e ciò in considerazione del fatto che la salute è da intendersi un bene primario, indipendentemente dai principi costituzionali e dalle normative in vigore. Entrando più nel merito, come comunicare la scienza medica e le relative problematiche come, ad esempio, quelle delle vaccinazioni appena accennate? E quali le azioni più appropriate per utilizzare al meglio le premesse originate dal sapere, dalla ricerca scientifica e dagli sviluppi della stessa? Da sempre sostengo che la divulgazione (e quindi leggere) non solo è un dovere, ma è anche un serio impegno che garantisca una sana e responsabile crescita sociale e civile, in linea coi tempi che deve avvalersi di tutti i mezzi di comunicazione preposti a raggiungere ogni fascia di pubblico. Il settore dell’informazione medica e scientifica è però più delicato, ma che non ha bisogno di scoop e sensazionalismo. È invece indispensabile porre l’attenzione sulla attendibilità delle fonti, tenendo presente anche il contesto politico ed economico in cui si sviluppano, ad esempio, i risultati di una ricerca come quella impegnativa sul tema delle malattie rare e dei tumori rari. Purtroppo non è sempre così in quanto non è raro riscontrare, soprattutto negli articoli di cronaca sanitaria e riviste non specializzate, eccessi di allarmismo e di superficialità. È pur vero che il giornalista, solitamente cronista della sanità, non deve mai assumere un atteggiamento di passività (diritto di autonomia e indipendenza), ma è altrettanto vero che può espletare tale diritto se preparato e ha l’umiltà di riconoscere i propri limiti, superabili con un serio e costante aggiornamento. Il giornalista scientifico, in particolare, deve essere in grado di selezionare quanto gli viene comunicato o di cui viene a conoscenza, rendendo di generale comprensione quanto intende divulgare: tanto più è corretta l’informazione maggiore maggiore sarà il coinvolgimento per aver suscitato particolare interesse (fiducia e credibilità) nei lettori. Nel panorama dell’informazione medica e scientifica, una voce professionale seria che punti ai problemi pratici, non solo ha il diritto ma ha anche il dovere di esistere.

Il giornalismo di oggi, proprio perchè in gran parte rappresentato dalle più svariate “fazioni” politiche, richiede una professionalità che deve confrontarsi con la complessità delle moderne organizzazioni sociali, e il contributo del giornalista, con la sua professionalità specifica nei singoli campi di competenza, è spesso determinante. E questo vale anche per l’informazione online. Ritengo opportuno rammentare la distinzione tra divulgazione scientifica e giornalismo medico. Nel primo caso dovrebbe essere indirizzata ad un selezionato gruppo di destinatari (addetti ai lavori), mentre il giornalismo medico-sanitario è convenzionalmente più orientato ad informare in modo divulgativo i lettori in genere su argomenti di medicina e sanità. Un testo giornalistico deve garantire contemporaneamente quattro esigenze: attendibiità delle fonti, leggibilità, credibilità e capacità di interessare il lettore, il cui “effetto” dipende dal tipo di testata giornalistica e dal target di lettori a cui ci si rivolge. Saper comunicare significa prima di tutto saper trasformare ciò che si vuol dire in ciò che il pubblico vuol sapere. Vorrei anche sottolineare che l’informazione medico-sanitaria e medico-scientifica può essere sinonimo di prevenzione. E riuscire a mantenere tale equilibrio in qualunque settore del giornalismo, non è cosa semplice, ma non per questo bisogna sottovalutare il proprio dovere eludendo ogni possibile apporto migliorativo con l’aggiornamento professionale: verifica delle argomentazioni da trattare e delle proprie conoscenze in materia da parte di dipendenti, collaboratori esterni, freelance, consulenti, opinionisti, etc., la cui formazione professionale non è necessariamente di tipo accademico… Qualche tempo fa sul sito di AIPSIMED appariva il seguente quesito: I giornalisti fanno buona informazione medica? Prontamente rispondevo: “A mio modesto parere fanno buona informazione tutti i giornalisti che hanno la predisposizione e le relative competenze per l’esercizio di tale nobile e “responsabile” professione, specie se in ambito scientifico. Naturalmente la dottrina etica deve essere propria di tutti gli operatori dell’informazione. Va rilevato inoltre che i giornalisti freelance sono quasi sempre “estraniati” da una fattiva collaborazione con i “colleghi” non freelance, ossia coloro che sono dipendenti di grandi testate: l’umiltà è una dote assai rara in questo ambito professionale”.

La seconda e terza immagine sono tratte dai siti Psychiatryonline e Chimicare.org

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