AL MUSEO DEL CINEMA DI TORINO RIVIVE IL MUSEO “CESARE LOMBROSO”

di Ernesto Bodini (giornalista scientifico)

Il fascino del macabro, ma in questo caso nel rigoroso rispetto scientifico, suscita sempre un certo interesse, sia perché appartenente ad epoche storiche che per i risvolti culturali che ne possono derivare. Mi riferisco al medico e antropologo veronese, ma naturalizzato piemontese, Cesare Lombroso (1835-1909) al quale il capoluogo subalpino dedica la mostra “I mille volti di Lombroso” ed ospite al Museo del Cinema dal 25 settembre sino al 6 gennaio prossimo. Si tratta di una raccolta di 305 delle 7.000 fotografie di internati, briganti meridionali, criminali comuni, prostitute e pederasti tra fine ‘800 e primi ‘900; inoltre sono esposti 13 disegni, 2 manoscritti e un calco in gesso di un cranio, e una maschera mortuaria in cera; oltre a libri, riviste e strumenti scientifici. Il coinvolgenete percorso è articolato in cinque sezioni: gli studi sui malati psichiatrici e sul genio, la teoria sull’ativismo, le ricerche sul brigantaggio e sul delitto politico, la criminologia in rapporto al razzismo con un approfondimento sulla donna delinquente. In particolare l’identificazione del criminale, la fotografia segnaletica e la nascita della polizia scientifica. La ricca esposizione approfondisce il pensiero di Lombroso e il ruolo sociale della scienza nel XIX secolo, dal progetto in collaborazione con l’Università e il Museo lombrosiano. Imponente una gigantografia con due teschi: fotografie composite galtonianme di crani di delinquenti, corredata dalla didascalia : «Gli scatti riflettono i molteplici interessi di Lombroso e la diffusione mondiale dei suoi scritti, e i rapporti tra scienza e cultura popolare lungo l’arco di quasi un secolo». L’evento è curato da Cristina Cilli, Nicoletta Leonardi, Silvano Montaldo e Nadia Pugliese; mentre Donata Pesenti Campagnoni è curatrice capo del Museo del Cinema che, in risposta al Comitato “No Lombroso”, ai giornalisti ha precisato: «Il giudizio su Lombroso l’ha dato la storia. Il sito a lui dedicato è uno dei più importanti musei scientifici italiani, e segnalo che sono stati esposti i materiali originali senza esaltare acriticamente la ricerca lombrosiana. Al contrario, si dichiarano esplicitamente i contenuti razzistici». Questo Comitato, che da sempre ha contestato il Museo lombrosiano, ancora polemizza sostenendo che la mostra è una apologia di Lombroso e che istiga al razzismo. «Questa rassegna – sottolinea il referente del Comitato – è semplicemente diseducativa, per il pubblico e soprattutto per i bambini»; ma la replica dei curatori del Museo è istantanea che afferma: «È la testimonianza di un certo modo di fare scienza, in cui noi non ci riconosciamo».

Mentre con questo annuncio si vuole stimolare la curiosità del lettore invitandolo a visitare la mostra espositiva, faccio una breve ricerca e mi ritrovo tra le mani la prima edizione del 1971 de’ “L’uomo delinquente in rapporto all’antropologia, alla giurisprudenza e alle discipline carcerarie” di Cesare Lombroso (Napoleonte editore); un corpus storico-scientifico-letterario di 473 pagine, diviso in 11 parti. Tra questi l’autore evidenzia e approfondisce i vari concetti di delitto, gli aspetti fisiognomici e antropologici del delinquente, per poi passare ai vari aspetti biologci che comprendono essenzialmente passioni, affetti, senso morale, intelligenza e istruzione dei delinquenti. I capitoli successivi riguardano l’analogia tra epilessia e criminalità, la relazione tra pazzia e delitto; ivi compresa la descrizione degli psedudo criminali, i criminaloidi, i rei latenti e gli epilettoidi. Ovviamente non manca di illustrare i fattori ereditari ed etnici, sociali e indviduali, come pure le cause del delitto associato e del delitto politico. Il lungo lavoro si estende prendendo in considerazione i diversi aspetti della prevenzione: generale dei reati e dei reati specifici, mezzi preventivi del delitto politico e prevenzione della criminalità dei minorenni. L’autore non manca di entrare anche nel merito dell’atavismo e l’epilessia nel delitto e nella pena, la cui teoria considerava il reato come la regressione e la fissazione ad uno stato primordiale dell’evoluzione della specie, in cui il soggetto arrivava a delinquere per scaricare i propri istinti aggressivi e primordiali, come se fosse un animale ipoevoluto… Secondo Lombroso l’uomo bianco era il massimo esponente della specie evoluta, ossia tutto ciò che non era uomo e non era bianco, era portatore di una patologica diversità che avrebbe condannato il soggetto a condotte antisociali e criminali per il resto della sua vita. In buona sostanza, con le sue ricerche ed esperimenti il criminologo “amato-odiato” ha voluto dimostrare scientificamente la maggiore o minore criminalità dell’uomo; teorie che seppur suffragate da approfonditi studi, sono in gran parte superante, ma non bisogna dimenticare che tali rispecchiano un’epoca ultresecolare. Un innovatore dell’antropologia e della criminologia moderne “ante litteram”, le cui interpretazione e considerazione sono lasciate sia agli scettici che agli studiosi del settore.

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