IN ATTESA DELLA RIFORMA DEI BENI CULTURALI

di Ernesto Bodini (giornalista e critico d’arte – opinionista)

Cultura, istruzione e aspirazione a ruoli dirigenziali non è detto che vadano sempre di pari passo, tanto più in un Paese come il nostro peraltro assai ricco di inestimabili siti e presidi storico-accademici come i Musei. In attesa che la riforma voluta dal ministro dei Beni Culturali Alberto Bonisoli (5 Stelle, nella foto) si concretizzi, nonostante non piaccia alla sottosegretaria leghista Lucia Borgonzoni, mi pongo alcuni quesiti. Ad esempio, chi deve essere preposto a dirigere queste autorevoli Sedi? E con quali credenziali? I designati devono essere necessariamente nostrani oppure stranieri? Il dibattito sulla nomina e soprattutto sul futuro dei direttori stranieri è ancora acceso; ma se all’origine di tali decisioni e collocazioni gerarchico-culturali prevale la politica, allora (a mio avviso) la questione diventa ancora più “amletica”, per non dire inopportuna… È pur vero che chi regge un Ministero è (e deve essere?) una figura politica che a sua volta è sostenuta dal suo partito, ma è altrettanto vero che il relativo ed inevitabile “condizionamento” di appartenenza potrebbe inficiare l’obiettività nell’individuare i soggetti a dirigere questo o quel Museo o quella Accademia. E poi, in merito all’attualità, perché si è dovuto ricorrere alla nomina di dirigenti stranieri? Per la cronaca: Elke Schidt, tedesco (51 anni), è direttore delle Gallerie degli Uffizi di Firenze; Cecile Hollber, tedesca (52 anni), storica dell’Arte, guida la Galleria dell’Accademia di Firenze; James Bradburne, britannico (63 anni), dirige la Pinacoteca di Milano; in ultimo, tanto per “onorare” l’italianità, Paolo Giulierini (50 anni), è direttore del Museo Nazionale di Archeologia di Napoli. Pur non conoscendo gli antefatti che hanno portato a queste scelte, mi sento di richiamare l’attenzione sul fatto che nel nostro Paese da sempre (oggi più che mai) si vantano diplomati, laureati in ogni disciplina e in molti casi con competenze dal valore anche competitivo con altre realtà; ed essere arrivati ad individuare esperti in Discipline Umanistiche ed Artistiche di altri Paesi, credo che qualche perplessità si possano avere sulla reale disponibilità di figure analoghe italiane. Va anche detto, anche se questa considerazione ha un valore per certi versi minimale, che non pochi italiani hanno sofferto (e soffrono) della carenza di una Laurea, tanto che in diverse occasioni si sono scoperti degli pseudo laureati e millantatori (un reato che in pratica non viene nemmeno perseguito o comunque è punito in modo assai lieve); un vezzo tutto italiano poiché all’estero nessuno ostenta il proprio titolo accademico se non e soltanto in sede di esercizio professionale.

Ma tornando ai dirigenti stranieri delle nostre bellezze artistiche, personalmente non ho nulla in contrario; anzi, ben vengano perché se veramente all’altezza, possono insegnare con maggior coscienza etica (e non con spocchia) che il valore di un titolo accademico può essere sì necessario, ma le competenze per ricoprire un ruolo così importante implicano predisposizione, valori conoscitivi ed umiltà che ad alcuni italiani mancano. Va da sé che i suddetti stranieri conoscono più lingue, ovviamente anche quella italiana e, se sono stati designati a dirigere le sedi ospitanti dei nostri Beni culturali più preziosi, è proprio il caso di ribadire che a volte sono le qualità personali a fare un professionista di eccellenza, e non la culla in cui è nato. Ed io credo che in attesa della Riforma sulla autonomia dei Musei, ogni fruitore possa apprezzare il loro valore storico ed artistico di questi patrimoni, e al tempo stesso compiacersi di sapere che alla conduzione dirigenziale ci sono esperti stranieri che, forse, hanno un passo in più… Per fortuna l’Arte e la Cultura sono dominate da una lingua universale.

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