7 Lug 2023

Loccioni, dieci anni dopo: fare impresa etica e sostenibile è possibile? – Dove eravamo rimasti #16

Da oltre cinquant'anni Loccioni, impresa marchigiana che progetta e produce sistemi high tech di collaudo e controllo qualità, è un modello di imprenditoria attenta al benessere delle persone e del Pianeta. Dieci anni fa fu protagonista della prima video-storia del nostro format più longevo, Io faccio così. Ci colpirono il profondo rapporto con il territorio, l'attenzione alla sostenibilità e la cura dei collaboratori. Cosa sarà cambiato nel corso dell'ultimo decennio? Li abbiamo contattati per farcelo raccontare.

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Ancona, Marche - Dieci anni fa – era il 31 ottobre 2013 – inauguravamo il nostro format più longevo, Io faccio così con un’intervista ad Enrico Loccioni, imprenditore marchigiano fondatore dell’omonima impresa. Loccioni è un’eccellenza italiana che si occupa di “progettare e produrre sistemi high tech di collaudo e controllo qualità, sia da laboratorio che in linea di produzione”. Come si legge nella presentazione dell’impresa, “gli elettrodomestici che utilizziamo, le auto che guidiamo, gli aerei o i treni che ci trasportano, l’energia che utilizziamo, l’aria che respiriamo, i farmaci e il cibo per la nostra salute, vengono testati con sistemi Loccioni appositamente creati per ogni prodotto o processo”.

Da un’impresa del genere ci si aspetterebbe un claim legato all’efficienza o alla sicurezza dei processi. Invece quello di Loccioni è: “Trasformiamo i dati in valore, per il benessere delle persone e del pianeta”. Curioso no? E in effetti ciò che già allora ci colpì di Loccioni, più che i suoi “prodotti”, era l’idea d’impresa che vi stava dietro, di ispirazione olivettiana, molto attenta alla sostenibilità economica, al benessere dei lavoratori e alle relazioni con il territorio che vuole “lasciare il mondo migliore di come lo ha trovato”. 

Ai tempi della prima intervista, Italia che Cambia era poco più di un blog nato dal viaggio visionario di Daniel Tarozzi e animato dalla passione di un gruppo di giornalisti e giornaliste che aveva molte cose da dire, ma ben poche idee di come far stare in piedi un giornale economicamente. A un decennio di distanza siamo cambiati e cresciuti molto, ma la passione e gli elementi centrali del nostro lavoro sono rimasti gli stessi. Sarà accaduto lo stesso anche per Loccioni?

loccioni
UNA CRESCITA LENTA, PER SCELTA

Una decade per un’organizzazione è un tempo abbastanza lungo per veder succedere molte cose. Il mondo è cambiato radicalmente e un’impresa come Loccioni, che lavora con gruppi mondiali, deve inevitabilmente adattarsi al contesto. Come mi spiega Enrico Loccioni, che ho contattato telefonicamente, «negli ultimi dieci anni abbiamo osservato un richiesta di velocizzazione dei processi. Si predilige il breve termine, si guarda meno lontano nel passato e meno avanti nel futuro». 

Di fronte a questo andamento complessivo, Loccioni ha scelto di andare nella direzione opposta: «Cerchiamo di lavorare guardando molto al passato per scegliere progetti di futuro e questo fa parte della cultura d’impresa. Mentre lavoriamo cerchiamo di tirar fuori valore dal passato per progettare futuro e scegliere solo i partner e clienti migliori per condividere progettualità. Cerchiamo di leggere l’anima di un cliente, in ottica di futuro».

Queste scelte hanno portato a risultati molto tangibili: «Sono migliorati la qualità del lavoro e quella dei clienti. L’età media delle persone è rimasta molto bassa, attorno ai 32 anni, perché abbiamo un ingresso continuo dal basso di giovani grazie al legame con le scuole e con il territorio. Abbiamo creato tre nuovi laboratori e raddoppiato i presidi vicino ai clienti, abbiamo raggiunto l’indipendenza finanziaria [dal 2017 l’impresa vive una situazione di cassa positiva, nonostante i tanti investimenti che vengono fatti tutti gli anni, ndr], abbiamo quintuplicato il patrimonio netto dell’impresa e più che raddoppiato il suo valore. Questo aiuta a guardare il futuro con maggiore sicurezza».

Questi traguardi non sono il frutto di un ciclo di investimenti forsennati né di un processo di crescita esponenziale, ma di una crescita consapevolmente lenta, un po’ come quella di un albero. Come ci spiega Maria Paola Palermi, responsabile della cultura d’impresa in Loccioni, «abbiamo scelto di crescere molto lentamente e in modo solido, ad esempio nel numero delle persone. Qua non esiste crescere per acquisizioni, noi non compriamo altre aziende e non cresciamo rubando persone ad altre organizzazioni. Abbiamo determinate linee guida che fanno parte della cultura d’impresa che ci permettono di continuare a sviluppare un’identità molto forte, che è quella che ingaggia le persone». 

LA SOSTENIBILITÀ AL CENTRO: LA LEAF COMMUNITY

Uno degli aspetti che già dieci anni fa ci aveva colpito di Loccioni era l’attenzione alla sostenibilità ecologica. In particolare il progetto Leaf Community: Leaf, in inglese “foglia”, è l’acronimo di Life, Energy And Future, ovvero vita, energia e futuro. Come mi spiega ancora Palermi la Leaf Community «è il progetto di sostenibilità della nostra comunità di lavoro, è l’insieme dei nostri edifici, laboratori e abitazioni, assieme al fiume che abbiamo messo in sicurezza e ai beni della natura che ci permettono di produrre energia». 

In altre parole, la Leaf Community Loccioni è un ecosistema naturale-lavorativo che consente di produrre energia in maniera pulita e vivere un rapporto sano con il territorio e con il resto della natura. E anche un vero e proprio laboratorio di transizione ecologica: «Chi viene da noi – ci dice Loccioni – può vedere in azione sistemi che già producono idrogeno o clienti che sperimentano soluzioni a idrogeno per i camion, oppure lo storage dell’energia attraverso vari sistemi e batterie, il modello dell’auto elettrica che diventa il modello della nostra grid energetica».

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Un aspetto molto interessante è che la sostenibilità per Loccioni non è solo una questione d’immagine, un biglietto da visita per i clienti o un modo per fare marketing aziendale. È piuttosto un elemento collegato profondamente con i valori dell’impresa e che contribuisce alla sua sostenibilità anche economica. «Non soltanto in questi anni di problematiche energetiche siamo riusciti a non spendere di più in energia, pur aumentando persone e laboratori – afferma Palermi –, ma addirittura ci abbiamo guadagnato. Per noi la sostenibilità è una commessa in attivo».

Un esempio di come la sostenibilità rappresenti tanto un vantaggio economico quanto un investimento in conoscenza è quello della digitalizzazione della grid energetica. «Circa dieci anni fa – racconta Loccioni – abbiamo tolto l’utilizzo del gas. Prima per riscaldarci, avevamo un tubo che ci portava il gas e in cambio si prendeva i nostri soldi che non sapevamo dove finissero».

Da quando l’azienda ha tolto il metano usa solo l’elettricità e ha trovato una serie di soluzioni che le permettono non solo di non spendere soldi, ma anche di investirli in persone e sviluppare competenze. «Oggi tutta la Leaf Community è una micro rete intelligente 100% elettrica, in cui i flussi energetici vengono costantemente misurati per migliorare le performance. È difficile quantificare le competenze, ma il valore di un’impresa è fatto dalla somma delle competenze, e te le fai solo lavorando». 

Qua non esiste crescere per acquisizioni, noi non compriamo altre aziende e non cresciamo rubando persone ad altre organizzazioni

“L’AMORE SI FA IN DUE”: IL RAPPORTO DELL’IMPRESA CON CLIENTI E COLLABORATORI

La cultura d’impresa di Loccioni è fatta anche di un rapporto particolare, di scelta reciproca, con clienti e collaboratori. Fin dall’inizio dell’intervista si percepisce che questo aspetto è rimasto saldo nel tempo, ma ci sono alcuni elementi interessanti da indagare indagare. Ad esempio: dieci anni fa restammo colpiti dal fatto che l’impresa aiutava i suoi stessi collaboratori che volevano lasciare l’organizzazione a mettersi in proprio. Sarà ancora così?

«Certo – risponde senza esitazioni Loccioni –, abbiamo perso il conto di quante persone si sono messe in proprio, ma anni fa eravamo arrivati a 120 ex-collaboratori che hanno creato la loro impresa. Non tutti fanno cose simili a quello che facevano qui: due ragazzi fanno gli antiquari, un’altra lavora con il the. Ma è il come lo fanno, più che il cosa, che conta. Quelli che rimangono sono partner sul territorio che condividono il nostro stesso spirito e che rappresentano una grande risorsa per noi e per il territorio». 

Sul depliant di presentazione dell’azienda si legge che chi lavora con Loccioni è un collaboratore, guai a chiamarlo/a dipendente. Alla richiesta del motivo di questa scelta lessicale, Loccioni risponde: «Credo che l’amore si faccia in due. Quindi bisogna che fra collaboratori e impresa ci sia un rapporto basato sulla fiducia. Perché se non c’è un rapporto di fiducia non si può progettare futuro insieme».

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Anche la relazione con i clienti è plasmata con la stessa matrice. Un rapporto di fiducia reciproca, paritario, in cui si sviluppano soluzioni assieme. Loccioni è un’impresa che non produce niente su larga scala, ma sviluppa soluzioni ad hoc per le esigenze dei singoli clienti – «un po’ come farsi fare un vestito da un sarto», mi dice Loccioni – che sono grandi aziende perlopiù straniere. Parliamo di realtà come Airbus, Bosch, Enel, Ferrari, Mercedes, Samsung Medical Center, Toyota e molti altri.

Come si fa a creare rapporti non superficiali e duraturi nel tempo con colossi come questi? Per Loccioni uno dei segreti è un rapporto continuo di vicinanza e scambi reciprociL «Siamo un’organizzazione a rete – mi spiega – o una “multinazionale tascabile”, per dirla con le parole di Vittorio Merloni. Per poter instaurare un rapporto di lungo periodo con i clienti e conoscerci sempre di più li invitiamo spesso a venirci a trovare, a lavorare con noi, ma al tempo stesso anche noi dobbiamo “vivere” vicino a loro. Perciò negli anni abbiamo aperto sempre più presidi all’estero, vicino ai nostri clienti principali».

LE RELAZIONI CON IL TERRITORIO, PROGETTI CHE CREANO COMUNITÀ

Abbiamo accennato alle forti “relazioni fra impresa e territorio”. Un’espressione usata spesso in ambito aziendale, ma altrettanto spesso vuota. Nel caso di Loccioni invece questa relazione con il territorio – siamo nella provincia di Ancona – si traduce in una miriade di progetti portati avanti negli anni.

Progetti come il laboratorio di innovazione nella cura in collaborazione con l’Azienda Ospedaliero Universitaria delle Marche. O come 2 km di futuro®, una sorta di “adozione” del fiume Esino, per mettere in sicurezza e restituire alla comunità i due chilometri di area fluviale accanto alle sedi Loccioni. O ancora la valorizzazione della Valle di San Clemente, un progetto di innovazione rurale in partnership con il comune di Apiro (MC) per la valorizzazione di una vallata e dei suoi tesori artistici, storici, enogastronomici e paesaggistici. 

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Una relazione particolarmente solida è quella stabilita con le scuole. Dall’inizio dell’avventura imprenditoriale Loccioni ha aperto la sua realtà alle scuole di ogni ordine e grado, creando laboratori congiunti per lo sviluppo di conoscenze e l’orientamento dei giovani.  Mi spiega Maria Paola Palermi che «nel rapporto con le scuole si investe molto. Sabato mattina [1° luglio 2023, ndr] è successa una cosa bellissima. Sedici ragazzi e ragazze del IV superiore scientifico hanno fatto uno show a conclusione del percorso di Alternanza scuola-lavoro, che noi chiamiamo Convergenza scuola-lavoro».

Spesso queste attività sono vissute come un obbligo inutile, invece in Loccioni a partire da gennaio hanno avuto la possibilità di partecipare alla vita d’impresa, hanno fatto formazione, esplorato i tanti ambiti di lavoro possibili per immaginare il loro “futuro sé” e hanno aperto questo momento conclusivo con un assolo di chitarra elettrica. «Bisogna abbattere le barriere e creare ponti fra scuola e lavoro, fra formazione e applicazione. L’impresa è sempre più comunità educativa». 

L’ATTENZIONE AL LINGUAGGIO PER CAMBIARE L’IMMAGINARIO

Forse non ci avrete fatto caso, ma ho usato certi termini e non altri per descrivere le attività di Loccioni. Ho sempre parlato di impresa e mai di azienda. Di collaboratori e non di dipendenti. Di convergenza scuola-lavoro e non di alternanza. Questo perché, come mi ha spiegato Maria Paola Palermi, si pone moltissima attenzione al tema del linguaggio.

«Una delle novità dell’ultimo decennio è che abbiamo pensato di lavorare sul tema del linguaggio con il professor Sabatini, già Presidente dell’Accademia della Crusca, che già è stato qua da noi e ci ha deliziato spiegandoci perché imprendere è etimologicamente diverso da agire, da cui deriva azienda. Così come “dipendenti” è diverso da “collaboratori”».

Per mettere a sistema questo lavoro, spiega ancora Palermi, «nel 2018 ci siamo regalati una piccola casa editrice che si chiama Desiderio Editore, che ha proprio l’obiettivo di codificare e rendere disponibili le cose che abbiamo imparato e che sono buone per noi potenzialmente buone anche per gli altri: ad esempio la formazione manageriale, l’importanza del legame con il territorio e tutti i valori fondamentali per la nostra impresa che possono essere beneficio per gli altri». 

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Loccioni si è dotata anche di un glossario interno, che ci regala sprazzi di visione e cultura imprenditoriale. E in cui si leggono inviti a parlare di “Impresa e mai azienda o fabbrica o industria. Perché impresa ha in sé un’idea di avventura, di missione, di sfida, mentre azienda ricorda più l’azienda statale o di servizi, la fabbrica implica la ripetitività e l’industria la dimensione quantitativa”.

O ancora termini come tradinnovazione, “neologismo coniato da uno studente in visita, poi diventato uno dei principi fondamentali” che “sta a significare la capacità di guardarsi indietro per costruire il futuro con la lezione del passato. Il futuro è nelle origini e non possiamo costruire futuro se non sappiamo da dove veniamo”. Perché le parole sono i mattoncini del presente con cui costruiamo il futuro.

FRA ALTRI DIECI ANNI…

Già. Manca solo lui. Il futuro. Prima di salutarci non posso esimermi dal fare un’ultima domanda: “Fra dieci anni vi richiameremo per sapere che cosa è successo negli ultimi dieci anni. Cosa ci racconterete?”. «Avremo fatto molta più attività nei nostri laboratori di agricoltura – mi spiega Loccioni in conclusione – perché il cibo di qualità diventa uno dei requisiti più importanti per il benessere della persona».

«Poi avremo esplorato tutte le forme di energia. I beni comuni, quelli per i quali non paghiamo le tasse – la luce del sole, l’aria, l’acqua, il suolo – puoi grazie alle tecnologie valorizzarle per produrre forme di energia locali. E infine tutta la parte legata alla trasmissione delle informazioni. Adesso c’è la moda dell’intelligenza artificiale. Noi ne conosciamo solo una di intelligenza, quella umana».

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